In un piccolo ambiente luminoso affacciato su Piazza Virgilio, Officine Saffi ha raccolto un corpus di opere di cinque maestri della ceramica giapponese contemporanea. Non mi sono mai affacciata prima d’ora a questo mondo ma la mia fascinazione per l’Oriente è nota, perciò ho voluto vedere dal vivo ogni scultura e nello stesso tempo anche il progetto d’installazione scelto.

Sono stata accolta da François che, per tutto il corso della visita si è dimostrato subito accogliente e pronto a spiegarmi ogni cosa con passione, pur lasciandomi poi anche del tempo per godermi le opere in tutta tranquillità.
Dopo una prima introduzione alla tecnica utilizzata per la cottura delle ceramiche con i forni Anagama, la prima opera che mi viene mostrata è raccontata è Tura di Keiji Ito, primo artista a richiamare in causa la tradizionale metodologia di cottura in oggetto.

La cottura nei forni Anagama mi ha affascinato moltissimo, difatti era un vero e proprio collante sociale: i forni erano di dimensioni enormi, in zone spesso sperdute delle colline, perciò ogni fabbricante di ceramiche dopo aver creato le proprie opere, si recava insieme a tutti gli altri a cuocere le sculture nel forno, per un lungo periodo di tempo. Il risultato finale è ogni volta diverso e unico, infatti a seconda di dove gli oggetti venivano posizionati rispetto al fuoco, in seguito alla cottura acquisivano colorazioni e sfumature sempre diverse e imprevedibili. Lo stesso vale per l’effetto “smaltato” che si può notare sulle opere, è dato dalle ceneri volatili nel forno, che sedimentandosi sulle sculture creano un effetto lucente davvero affascinante.
Questo è molto evidente soprattutto nelle opere di Shozo Michikawa: Natural Ash Sculptural Form e Tanka with Silver Sculptural Form.
In questo caso l’artista fa come proprio marchio l’utilizzo della torsione nella creazione delle sue opere: dopo aver posizionato il blocco di materia sul tornio, posiziona al centro un bastone, su cui la scultura si torce seguendo la gravità, in modi sempre diversi e arbitrari.

Di particolare effetto visivo anche l’opera Kioku di Kazuhito Nagasawa in ferro e ceramica, che sembrano reperti recuperati dal fondo oceanico o scampati ad una catastrofe. Sono contenitori che spesso hanno al loro interno oggetti, si ipotizza semi, ad indicare una sorta di eredità per le successive generazioni. Ad importare non è quindi ciò che si vede al di fuori bensì ciò che si cela al loro interno, come un vero e proprio strumento di memoria.

Ad appassionarmi in questa visita sono stati una serie di fattori, quindi: non solo l’accoglienza e le spiegazioni dettagliate ma anche lo spazio silenzioso per me sola, in cui ho potuto ammirare ogni piccolo tesoro artistico e scoprire i valori che la tradizione del forno Anagama si porta dietro e la bellissima estetica dell’indeterminato che ne nasce. Una mattinata poetica.

testo e foto: Chiara Colombo